L’esame clinico e la Manovra di Ortolani per la Displasia delle Anche: cosa sapere e gli errori da evitare

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Un bambino affetto da displasia evolutiva dell’anca, può essere spesso individuato grazie all’esecuzione di un corretto esame clinico.

L’esame obiettivo delle anche (se correttamente eseguito) permette di identificare la quasi totalità  dei casi di lussazione o di anche lussabili, consentendo di indirizzare precocemente verso l’esame ecografico e giungendo dunque a un trattamento immediato e meno invasivo.

L’esame clinico invece risulta molto meno efficace nell’identificazione dei casi di displasia dell’anca (la testa del femore è centrata correttamente nell’acetabolo ma quest’ultimo non è adeguatamente sviluppato).

L’esame clinico deve essere effettuato poche ore dopo la nascita dal neonatologo, che eseguirà all’interno dell’esame obiettivo neonatale, anche le manovre cliniche per la displasia delle anche: eventuali casi sospetti vengono inviati verso l’esecuzione di un’ecografia e verso lo specialista ortopedico. L’esito di questa valutazione deve essere registrato sul libretto pediatrico. 

L’esame clinico delle anche dovrà poi essere ripetuto dal neonatologo/pediatra ad ogni bilancio di salute dei primi 6 mesi di vita. 

La visita dovrebbe essere effettuata in un ambiente adatto al bambino (luce soffusa, presenza dei genitori, riduzione al minimo dei rumori) e in uno stato possibilmente di veglia quieta o di dormiveglia. Il rilassamento muscolare facilita l’esecuzione dell’esame clinico. Se il bambino è agitato infatti, molti elementi che cercheremo di osservare non potranno essere adeguatamente apprezzati.

La valutazione clinica delle anche nella diagnosi delle displasia dell’anca si articola  in più fasi:

L’ispezione globale in cui il medico valuterà la motilità degli arti, che deve essere simmetrica e ampia.

La valutazione della presenza dell’asimmetria delle pliche cutanee: un segno molto usato nel passato. L’asimmetria della cute dell’interno coscia è un reperto comune anche in bambini senza la displasia delle anche. L’asimmetria della cute dei glutei da sola, non alcun significato: può essere un segno di lussazione, ma solo se si associa a ridotta abduzione e segno di Galeazzi positivo. Non va quindi interpretata come dato a sé ma sempre all’interno del resto dell’esame obiettivo. 

Il segno di Galeazzi: Con il bambino posto in posizione di riposo, le anche vengono flesse a 90 gradi e mantenute addotte e si verifica che le ginocchia siano allo stesso livello.  In caso di sublussazione o lussazione l’altezza delle ginocchia rispetto al piano di appoggio può risultare differente, suggerendo una risalita della testa del femore. Questo segno potrebbe essere negativo in caso di semplice instabilità dell’articolazione, per cui è sempre consigliato eseguire gli altri test. Il segno di Galeazzi sarà positivo anche in presenza di differenza di lunghezza dei femori.

Un elemento molto importante è la valutazione dell’abduzione delle anche cioè il grado di divaricazione delle anche che potrebbe essere ridotto o, nei casi più gravi, impossibile (blocco articolare). La normale abduzione in un bambino sano alla nascita dovrebbe essere simmetrica e di almeno 60° (la maggior parte dei bambini raggiunge gli 80°). Un’asimmetria tra i due lati (si parla di limitata abduzione quando si riscontra una riduzione di circa 20° di divaricazione fra un’anca e l’altra) deve far sospettare una displasia dell’anca dal lato che presenta la limitazione. In caso di limitazione bilaterale, occorre sospettare una displasia dell’anca bilaterale.

A completamento di questa prima valutazione ci sono i test speciali e cioè:

La manovra di Ortolani (o dello scatto in entrata): questo test ha la funzione di individuare anche lussate ma riducibili. Viene effettuato con il bambino in posizione di riposo supina, su un piano rigido, con le anche flesse a 90° e addotte sulla linea mediana. L’esaminatore pone le mani, con l’incavo tra primo e secondo dito, sul ginocchio del bambino, poggiando il dito medio sul grande trocantere. Ogni anca viene esaminata singolarmente (l’altra anca deve essere mantenuta abdotta per stabilizzare il bacino). Con un movimento lento e controllato, si effettua una lieve trazione e una abduzione dell’anca, fino a che l’arto inferiore non tocchi il piano d’appoggio.

In un anca sana il movimento appare fluido e il test risulta negativo. In un’anca dislocata ma riducibile, la testa del femore scorre sulla doccia cartilaginea ipertrofica che si è formata sul bordo dell’acetabolo, e vi si riposiziona all’interno, riacquisendo la posizione corretta e generando uno “scatto”, una sensazione tattile (e talvolta sonora), apprezzabile col dito medio: il segno di Ortolani è detto positivo.

La prima traduzione in inglese del termine italiano, usato da Ortolani per descrivere tale sensazione palpatoria, fu “click”: ciò diede luogo ad una serie di fraintendimenti, dovuti al fatto che lo stesso termine veniva usato per descrivere gli scrosci articolari (ben diversi dalla sensazione dello scatto). 

Gli scrosci articolari (in inglese “clicks”) sono infatti sensazioni palpatorie dovute allo scorrere dei tendini nelle proprie sedi anatomiche. Sono sempre stati indice di sospetto per displasia dell’anca nel passato, soprattutto per esaminatori inesperti. Confusi per una manovra di Ortolani positiva, sono stati spesso motivo di invio allo specialista di bambini sani, addirittura anche quando venivano rilevati in sedi diverse dall’anca.

La manovra di Barlow (o dello scatto in uscita) invece ha lo scopo di individuare quelle anche in cui la testa del femore è correttamente centrata nell’acetabolo, ma può essere lussata (anche instabili e lussabili). E’ l’opposto della manovra di Ortolani e anche in questo caso si esamina un’anca alla volta. Si parte con un’anca completamente abdotta e adducendo le cosce e portandole verso la linea mediana, si esercita contemporaneamente una leggera pressione sul ginocchio, dirigendo la forza in senso antero-posteriore e avvertendo così la sensazione palpatoria di uno scatto in uscita. La testa del femore tornerà al suo posto non appena la pressione verrà rilasciata, generando anche in questo caso una sensazione palpatoria.

Questi test sono validi nel bambino piccolo (pochi giorni/poche settimane, al massimo pochi mesi di vita): tendono a modificarsi nel tempo scomparendo tra una visita e l’altra. Qualche autore descrive la loro scomparsa dopo la sesta settimana di vita a causa di una diminuzione fisiologica di elastina, che implica una maggiore rigidità. Il fatto che possano essere presto non più apprezzabili sottolinea l’importanza di un corretto esame obiettivo eseguito il prima possibile.

Un concetto importante è che i segni clinici sono presenti di frequente in bambini con anche patologiche, ma la loro assenza non esclude la diagnosi di displasia delle anche, da cui l’importanza dell’ecografia per casi di questo tipo. 

In conclusione, esame clinico ed ecografia delle anche non solo non si escludono a vicenda, ma sono complementari. L’esame clinico non è in grado di evidenziare i quadri di displasia delle anche senza instabilità che si evidenziano invece con l’ecografia. L’ecografia, se eseguita correttamente, consente di diagnosticare sia i quadri di immaturità, che di displasia che di lussazione, ma se eseguita senza l’ausilio di criteri clinici espone al rischio di un incremento di trattamenti precoci non necessari e a un’elevata necessità di ripetizione di esami strumentali. 

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BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE:

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