Neuro Orthopedics – Equine foot

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Il piede equino nella paralisi cerebrale infantile: definizione e tipi

Il piede equino è una delle deformità più frequenti nei bambini affetti da paralisi cerebrale infantile, nonché una delle più complesse.
Esistono numerose definizioni di piede equino: semplificando, possiamo definire equino un piede il cui asse longitudinale forma con l’asse longitudinale della gamba un angolo superiore ai 90° (in posizione di massima correzione); in altre parole, la punta del piede rimane rivolta verso il basso e non è possibile una flessione dorsale (verso l’alto) della caviglia. Questo si tradurrà, al momento di camminare, in un’alterazione dell’appoggio (che avverrà di conseguenza con la punta al suolo) e dello schema di deambulazione.
Tale alterazione potrà essere presente in un solo piede (piede equino monolaterale, come avviene generalmente nelle forme di emiparesi) o in tutti e due (piede equino bilaterale, con coinvolgimento simmetrico o asimmetrico).

(a) Piede equino destro in paziente di 14 anni con emiparesi destra.
(b) Piede equino bilaterale in paziente di 3 anni con diplegia

PIEDE EQUINO, EQUINO-VARO E EQUINO-VALGO

Nelle forme di piede equino puro, l’asse del retropiede è allineato con l’asse della gamba: in altre parole, guardando da dietro il paziente, il tallone si trova sullo stesso asse della gamba e non mostra evidenti deviazioni verso l’interno o verso l’esterno.

Nel caso siano presenti tali deviazioni il piede dovrà essere definito diversamente (piede equino-varo o piede equino-valgo) e dovranno essere presi in considerazione altri aspetti nella valutazione e nel trattamento (vedi altre schede).

(a) Piede equino-varo destro in paziente di 6 anni con emiparesi destra.
(b) Piede equino-valgo sinistro in paziente di 9 anni con emiparesi sinistra

PIEDE EQUINO: CLASSIFICAZIONE

In realtà non è sufficiente parlare di piede equino, ma le caratteristiche di tale equinismo devono essere attentamente valutate e descritte.
Pertanto viene distinto:

  • un piede equinostrutturato” (in cui la deformità è rigida e non correggibile) e
  • un piede equinodinamico”, in cui invece la deformità si manifesta nel corso del cammino (come conseguenza di meccanismi neurologici e muscolari), ma è correggibile completamente nella valutazione effettuata col paziente sul lettino.

A seconda poi della fase del cammino in cui tale equinismo si manifesta, occorrerà distinguere:

  • Un piede equino di contatto (o primo appoggio), di pieno appoggio, di spinta, di sospensione, ecc, ed ogni tipologia suggerirà determinate problematiche e corrisponderà a determinati provvedimenti terapeutici.

Senza addentrarci in tutte le altre tipologie di piede equino che sono state descritte (funzionale, mascherato, ecc), ci preme sottolineare come sia fondamentale effettuare una valutazione accurata di tale problematica e non limitarsi alla mera misurazione della deformità del piede.
E’ del tutto evidente che la problematica del piede dovrà essere valutata nel contesto dell’arto inferiore cui ci si riferisce (considerando quindi anche le deformità a livello del ginocchio e dell’anca), considerando attentamente lo schema del passo (valutando quindi anche il comportamento dell’arto controlaterale, del bacino e del tronco), nonché la forma clinica del bambino e la sua probabile evoluzione (vedi scheda generale sulla paralisi cerebrale infantile).

Il piede equino e la decisione chirurgica: esempi e rischi

Ad esempio, vi sono dei casi in cui il primo contatto del piede al suolo avviene con la punta, ma solo perché il ginocchio è flesso (cosiddetto piede equino apparente). In questo caso un intervento chirurgico eseguito a livello del piede potrà solo peggiorare la situazione, mentre un intervento corretto dovrà rivolgersi alla deformità del ginocchio.
In altri casi invece il piede equino è strutturato, ma si associa a una marcata debolezza dei muscoli estensori del piede e delle dita (che normalmente mantengono il piede sollevato da terra mentre l’arto sta avanzando e l’arto controlaterale è a terra). In questi casi l’intervento correttivo per il piede equino correggerà la rigidità del piede ma non avrà effetti sulla debolezza degli estensori. Nel post-operatorio pertanto permarrà la tendenza ad avere la punta del piede verso il basso (piede equino di sospensione) nella fase di avanzamento del passo (fase di volo). Tale aspetto deve essere adeguatamente discusso coi genitori prima dell’intervento, ed eventualmente dovranno essere previsti opportuni provvedimenti terapeutici (fisioterapia, tutori, interventi di ripresa del tibiale anteriore, transfer tendinei, ecc).
Altri bambini invece presentano sì un piede equino strutturato, ma mostrano anche nella loro storia naturale una marcata tendenza a sviluppare un’insufficienza del tricipite, cioè una progressiva debolezza del muscolo, che li mette a rischio di sviluppare deformità progressive in flessione del ginocchio (crouch) e di perdere progressivamente la capacità di deambulare.
Il chirurgo avventato si sforzerà di correggere il più possibile tale equinismo, mentre invece sarebbe tenuto a riconoscere tali situazioni e a cercare di prendere provvedimenti per limitarne (per quanto possibile) le possibili conseguenze negative.

Ipercorrezione a seguito di allungamento del tendine di Achille bilaterale (crouch)

Sono solo alcuni esempi per sottolineare come l’indicazione ad un eventuale intervento chirurgico sia in realtà tutt’altro che semplice.

Trattamento chirurgico del piede equino nella paralisi cerebrale infantile: l’allungamento del tendine di Achille e gli altri possibili interventi

Le possibilità terapeutiche per il piede equino comprendono trattamenti conservativi (fisioterapia, tutori, plantari, infiltrazioni di tossina botulinica, ecc) e trattamenti chirurgici.
Mentre una descrizione dei primi esula dagli obiettivi di questa scheda, ci soffermeremo sui possibili interventi chirurgici che possono essere proposti alle famiglie per il trattamento del piede equino.

Tutte le possibili tecniche chirurgiche per la correzione del piede equino sono rivolte principalmente all’allungamento di una struttura: il muscolo (o meglio l’unità muscolo-tendinea) tricipite surale. Tale muscolo è formato dall’unione di tre capi, i due gemelli o gastrocnemi (che si inseriscono prossimalmente al di sopra del ginocchio, sui condili femorali: muscolo biarticolare) e il muscolo soleo (che invece si inserisce prossimalmente al di sotto del ginocchio: muscolo monoarticolare) che in basso si uniscono a formare il tendine di Achille: quest’ultimo va ad inserirsi sulla parte posteriore del calcagno. I gemelli (o gastrocnemi) sono più superficiali rispetto al muscolo soleo (e caratterizzano il profilo del polpaccio).

Un accorciamento o retrazione del tricipite surale determina l’equinismo del piede e può essere un’indicazione ad interventi per allungare tale struttura. Tale retrazione può coinvolgere in ugual misura i muscoli gemelli e il muscolo soleo, ma può anche coinvolgere diversamente tali muscoli (per lo più maggior retrazione dei muscoli gemelli, minor retrazione del soleo).
E’ fondamentale perciò che il chirurgo sappia distinguere la componente di equinismo dovuta alla retrazione dei gastrocnemi dalla componente legata alla retrazione del muscolo soleo, in modo da effettuare procedure chirurgiche più mirate alle strutture effettivamente coinvolte, evitando così di allungare eccessivamente (ed indebolire) strutture che non sono retratte.

A tal fine viene utilizzato il test di Silverskiold, che consiste in una misurazione dell’entità di equinismo a ginocchio flesso in un primo momento e successivamente a ginocchio esteso. Tale test potrà essere rivalutato dal chirurgo anche in sala operatoria, in narcosi.
Ovviamente, l’esame segmentale dovrà comprendere anche altre valutazioni (valutazione della spasticità, del controllo selettivo, ecc).

Una volta effettuate le dovute valutazioni, il chirurgo potrà pianificare la tipologia di intervento per piede equino. Le tecniche vengono suddivise per livelli chirurgici, cioè in base alla zona anatomica del tricipite surale cui si rivolgono. Perciò, considerando le tecniche più usate, si possono distinguere i seguenti livelli:

  1. una zona prossimale (nella parte alta della gamba), in cui è presente il ventre muscolare dei gemelli; più in profondità è presente il ventre muscolare del muscolo soleo (ricoperto dalla sua aponeurosi);
  2. un po’ più distalmente, i ventri muscolari dei gemelli finiscono in un tendine (cosiddetto tendine distale dei gastrocnemi); più in profondità è ancora presente il ventre muscolare del muscolo soleo (coperto dalla sua aponeurosi);
  3. l’aponeurosi del soleo e il tendine distale dei gastrocnemi si uniscono a formare il cosiddetto tendine congiunto gastrocnemi-soleo; in profondità è ancora presente la parte più distale del muscolo soleo;
  4. infine in basso le fibre muscolari terminano e rimane solamente la struttura tendinea del tendine di Achille.

In base ai suddetti livelli, si distinguono perciò le seguenti procedure chirurgiche:

  1. La tecnica di Baumann: prevede un allungamento dell’aponeurosi che ricopre i muscoli gemelli (ed eventualmente il soleo) nella parte prossimale della gamba; vengono lasciate intatte le fibre muscolari dei gastrocnemi e del soleo;
  2. La tecnica di Strayer prevede un allungamento (o semplice tenotomia) del tendine distale dei gastrocnemi, prossimalmente rispetto al punto in cui questo va ad unirsi all’aponeurosi del soleo; è possibile associare l’allungamento dell’aponeurosi del soleo allo stesso livello (più profonda);
  3. Le tecniche di Vulpius e di Baker prevedono un allungamento del tendine congiunto gastrocnemi-soleo, mantenendo integre in profondità le fibre muscolari del soleo;

Queste tecniche vengono spesso genericamente accomunate sotto il termine di recessioni muscolari o allungamenti mio-tendinei, avendo in comune la caratteristica di consentire l’allungamento dell’unità muscolo-tendinea senza interromperne però la continuità. Viene infatti mantenuta intatta la continuità delle fibre muscolari, che però si distendono a seguito dell’intervento. Questo garantirebbe una minor perdita di forza muscolare nel post-operatorio, oltre al fatto di agire in maniera mirata sul muscolo effettivamente coinvolto;

  1. Tecniche di allungamento del tendine di Achille: indicate particolarmente quando l’entità della deformità in equinismo è marcata e l’accorciamento coinvolge sia i gastrocnemi che il soleo. Tale procedura può essere eseguita:
  • a cielo aperto, cioè eseguendo un’incisione cutanea, visualizzando il tendine ed allungandolo per quanto necessario eseguendo una zeta sul tendine (allungamento “a zeta”)
  • con tecnica percutanea: per mezzo di multipli taglietti millimetrici sui vari lati del tendine, quest’ultimo viene indebolito fino a farlo cedere e allungare. Generalmente si eseguono due (tecnica di White) o tre taglietti (tecnica di Hoke).

Nel post-operatorio viene generalmente confezionato uno stivaletto gessato (cioè un gesso da sotto il ginocchio fino alle dita), che verrà mantenuto dalle 3 alle 6 settimane, in base alla tecnica utilizzata e alle procedure associate.
Eventuali variazioni o l’eventuale necessità di una tutorizzazione post-operatoria verranno discusse coi genitori al momento della pianificazione dell’intervento.

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